HIGHLIGHTS
Purpose e Valori
Dal 2014 al 2016 il Gruppo Prada ha sostenuto l’Opificio delle Pietre Dure di Firenze nelle fasi di completamento del restauro dell’Ultima Cena di Giorgio Vasari, sommerso da acqua e fango durante l’alluvione di Firenze del 1966 e a lungo considerato di pressoché impossibile recupero.
Antonella Casaccia è la giovane restauratrice che ha partecipato a tutte le fasi del progetto.
“La prima volta che misi le mani sull’Ultima cena del Vasari avevo 24 anni e molta paura.
Il restauro mi appassionava da tempo: la scintilla era scattata qualche anno prima, quando la professoressa di storia dell’arte del Liceo Artistico ci aveva portati in gita qui, all’Opificio delle Pietre Dure. Ero solo una ragazzina, ma rimasi profondamente colpita. Dopo il diploma di maturità tentai l’esame per la Scuola di Alta Formazione e fui ammessa, tra i pochissimi.
L’Opificio mi ha regalato grandi maestri e opportunità straordinarie. Anche la fortuna ha fatto la sua parte, però. Nel 2006 stavo per iniziare la tesi, a Firenze si celebrava il 40° anniversario dell’alluvione. Per l’occasione venne recuperata la grande “Ultima Cena” di Giorgio Vasari, che era chiusa da anni in un deposito della Soprintendenza di Firenze, coperta da uno spesso strato di fango: la sola grande opera che non fosse stata ancora restaurata dopo il disastro.
La tavola fu trasportata presso i Laboratori della Fortezza da Basso e la fase di studio delle condizioni conservative dell’opera venne affidata a me e a Ilaria: laureande, giovani, terrorizzate. Entusiaste. Ci mettemmo all’opera quasi incredule, io sulla pellicola pittorica, lei sul supporto ligneo, per fare le indagini e le prove sperimentali. Un anno dopo, di un dipinto di quasi sei metri avevamo affrontato appena pochi centimetri. Ma il primo passo era stato fatto, e lo avevamo compiuto noi.
Conseguito il diploma, accettai un lavoro all’estero. Tra me e il Vasari, però, non era finita; anzi, era appena cominciata. Dopo pochi mesi venni richiamata dall’Opificio delle Pietre Dure per riprendere il progetto, insieme a Ilaria e ad altre giovani restauratrici: Debora, Lucia, Chiara, Elisabetta.
È difficile spiegare che cosa si prova, di fronte a un’opera d’arte tanto importante. Con il dipinto crei un rapporto strettissimo e puoi comprendere a fondo la tecnica del pittore. Il lavoro richiede un’attenzione infinita al dettaglio: ti confronti con mille difficoltà, continui a chiederti se stai facendo la cosa giusta, ma sei determinato, devi arrivare alla fine perché tutti possano vedere la bellezza di quel capolavoro.
Questo restauro, in particolare, è stato complesso. Nonostante il supporto di un team di grandi professionisti, sotto la direzione di Marco Ciatti, in alcuni momenti abbiamo seriamente dubitato…
L’impresa rivelava sempre nuove difficoltà, fummo anche costretti a interromperci.
Solo nel 2014 i lavori ripresero e capimmo che ce l’avremmo fatta. Occasioni come queste capitano solo una volta nella vita, di solito. Nel mio caso, un paio!
Di tutti questi anni ricordo un momento, soprattutto; avevamo completato la parte centrale del lavoro e improvvisamente (chissà perché non ci era venuto in mente prima) ci dicemmo: “Abbiamo finito, possiamo sollevare la pala!” Quando per mesi, per anni, osservi un grande dipinto dall’alto, a pochi centimetri di distanza, talvolta addirittura al buio, sotto una piccola luce direzionata… Vederlo finalmente dritto, alla giusta distanza, può essere sconvolgente: l’opera era lì, Vasari era tutto lì! Fu un attimo commovente.
Credo che un’emozione simile toccherà alla città di Firenze, e al mondo intero, quando, tra qualche giorno, la tavola verrà ricollocata nella basilica di Santa Croce, dove si trovava nel 1966. Prenderò così congedo dall’opera che è stata al centro della mia vita per oltre dieci anni, e da una lunga, travagliata storia d’amore. È stata una fortuna immensa partecipare a un progetto di tale importanza e probabilmente non mi capiterà mai più nulla di altrettanto significativo.
Che cosa mi aspetta ora? A parte un po’ di riposo, sono molto interessata al restauro delle opere d’arte contemporanea. Ho fatto un master, ma se so di poter affrontare questa sfida è soprattutto grazie alla conoscenza dell’antico. Qualunque cosa farò, la lezione di Vasari mi accompagnerà sempre. Mi torna in mente la battuta che fece il relatore della tesi quando ci presentò il progetto di restauro: “Un giorno tutto questo sarà vostro”.
Firenze, 21 ottobre 2016